Dal punto di vista metodologico, la ricerca si servirà di fonti di diversa natura, in quanto solo una pluralità di punti di vista permette di indagare un tema complesso come quello della strutturazione degli spazi dell’apprendimento e dell’insegnamento:
le leggi e la normativa in materia di edilizia e di arredo scolastici: sin dall’Unità d’Italia (ma già anche nel Piemonte sabaudo), la costruzione e la manutenzione delle scuole sono state oggetto di un’attenta – e per questo motivo copiosa – legiferazione, sia a livello statale sia ad opera degli enti locali, e in particolare delle province, da sempre competenti in materia di edilizia scolastica. Si tratta di norme che riguardano ambiti assai diversi e che disciplinano la strutturazione e l’organizzazione degli spazi scolastici, la distribuzione delle scuole sul territorio, i materiali da utilizzare e da evitare nella costruzione, per finire con gli arredi e gli spazi circostanti.
le teorie pedagogiche che nel corso del tempo hanno incrementato la riflessione sulle relazioni tra l’educazione e i luoghi in cui essa viene erogata: esiste, infatti, un’ormai lunga tradizione di studi e ricerche sull’influenza che i luoghi hanno sul processo educativo e d’apprendimento. Le sperimentazioni compiute nei decenni scorsi in Europa e negli Stati Uniti (si pensi specialmente alle scuole progettate da May, Haesler, Lescaze, Sears, Malaguzzi), che raccoglievano le indicazioni di pedagogisti come F. Fröbel, J. Dewey, M. Montessori, P. Petersen, hanno reso il bambino e le sue esigenze il vero nucleo della progettazione di edifici scolastici, e hanno insegnato a considerare la scuola come un prodotto delle più moderne competenze pedagogiche, educative, igieniche, sociali e architettoniche. In ambito locale, meritano di essere ripresi in considerazione i principi che sovrintesero alla costruzione di scuole e servizi educativi nella Torino del Secondo Dopoguerra, sia ad opera di docenti universitari come Francesco De Bartolomeis sia da parte di funzionari comunali illuminati e particolarmente attenti alla questione, come Walter Ferrarotti.
Convitto nazionale Umberto I
la storia emblematica di alcuni istituti, scelti tra quelli più rappresentativi della storia cittadina: È il caso delle scuole elementari Antonio Rayneri, Silvio Pellico, Niccolò Tommaseo per le quali furono progettati appositi edifici negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia, quando lo Stato si adoperò in un prodigioso sforzo di scolarizzazione delle masse, con intenzioni volutamente sperimentali, mobilitando i pochi professionisti disponibili sul territorio nazionale e soprattutto avendo esplorato le esperienze compiute al di fuori dell’Italia, e specialmente in Francia, Inghilterra e Germania. Altrettanto interessanti sono, poi, le vicende degli edifici scolastici costruiti per far fronte al boom demografico degli anni Sessanta del Novecento, quando le scuole dell’obbligo ospitavano sino a tre turni di lezioni nello stesso giorno. Risale a quel periodo il cosiddetto “modello Frank”, una tipologia di edifici, in larga parte prefabbricati e costruiti in cemento armato, utilizzato almeno in quattro scuole elementari cittadine: Salgari, Dogliotti, Franchetti e Abbadia. E per contrasto possono essere utilmente studiati i rari casi di scuole costruite, all’incirca nello stesso periodo, su progetti innovativi e sperimentali, come le scuole elementari intitolate a Salvo D’Acquisto e a Gino Capponi, inaugurate entrambe nel 1968. Passando alle scuole secondarie, vale la pena di indagare i casi degli istituti ospitati da ex conventi, come il Liceo classico Massimo D’Azeglio o i licei annessi al Convitto Nazionale Umberto I, che hanno sede nell’ex convento del Carmine.